Le cause di scioglimento delle società di persone

L’art. 2272 c.c., dettato in materia di società semplici, prevede che la società si sciolga per il sopraggiungere di una delle seguenti cause:

1. decorso del termine;

Se alla scadenza del termine i soci proseguono nel compimento delle attività sociali, senza che alcuno di essi faccia valere l’avvenuto scioglimento, la società si intende tacitamente prorogata a tempo indeterminato.

2. conseguimento dell’oggetto sociale o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo;

3. decisione unanime dei soci, salvo che il contratto sociale non preveda la deliberazione a maggioranza;

4. venire meno della pluralità dei soci, se nel termine di 6 mesi essa non venga ricostituita, nel qual caso lo scioglimento non opera immediatamente, ma solo dopo che siano trascorsi 6 mesi;

5. ogni altra causa prevista nell’atto costitutivo.

La s.n.c. (società in nome collettivo) e la s.a.s. (società in accomandita semplice), la cui regolamentazione, ricordiamo, richiama quella sulle società semplici, si sciolgono inoltre per le seguenti ulteriori ragioni:

La s.a.s. si scioglie anche per il venire meno di una delle due categorie di soci (accomandanti e accomandatari), salvo che, nel termine di 6 mesi, non ne venga ricostituita la pluralità.

Se vengono meno tutti gli accomandatari, la legge prevede che gli accomandanti possano nominare per la sola ordinaria amministrazione un amministratore provvisorio.

Le cause di scioglimento operano di diritto non appena si verificano e dunque producono immediatamente i loro effetti.

Gli effetti che ex lege sono connessi al verificarsi della causa di scioglimento sono i seguenti:

In sintesi, la società deve cessare di operare e si apre la fase di liquidazione, nella quale i soggetti a ciò preposti, cioè i liquidatori, devono procedere a soddisfare tutti i creditori sociali, previa la dismissione del patrimonio sociale e, ove residuino beni, a suddividerli tra i soci.

 

Scioglimento per mancanza della pluralità dei soci

Il n. 4) del primo comma dell’art. 2272 c.c., dettato in materia di società semplici, trova applicazione anche alle società in nome collettivo (s.n.c.), in forza del richiamo contenuto nell’art. 2308 c.c., e alle società in accomandita semplice (s.a.s.), in forza dell’art. 2323 c.c.

Il contenuto della norma è chiaro e prevede che, una volta decorso il termine dei sei mesi previsto, il socio “superstite”, preso atto del verificarsi della causa di scioglimento, si trova di fronte alle seguenti alternative:

Nella pratica non è inusuale che il socio “superstite”, nonostante l’avvenuto scioglimento determinato dalla decorrenza dei sei mesi, prosegua nella gestione della società, senza compiere alcun atto di liquidazione e senza provvedere alla cancellazione della stessa dal Registro delle imprese.

È bene ricordare che il mancato ripristino della pluralità dei soci è una causa di scioglimento, ma non determina l’estinzione automatica della società, potendosi quest’ultima verificare solo con la cancellazione dal Registro delle imprese.

La conseguenza sarà, in questo caso, l’esistenza di una società di fatto unipersonale che, oltre ad essere “precaria”, sarà soggetta ad un particolare regime di responsabilità per le obbligazioni sociali.

Sotto il profilo della responsabilità patrimoniale, si è osservato che le norme contenute negli artt. 2274 e 2279c.c., concernenti la violazione del divieto di compiere nuove operazioni posto a carico degli amministratori e dei liquidatori, non costituiscano un particolare deterrente nella fattispecie, considerato che il socio amministratore è già illimitatamente e solidalmente responsabile per le obbligazioni contratte dalla società.

Anche in caso di società in accomandita semplice (s.a.s.) rimasta con un solo accomandante, la prosecuzione dell’attività da parte di quest’ultimo avrebbe comunque prodotto la perdita della limitazione di responsabilitàai sensi dell’art. 2320 c.c., salvo il caso di nomina di un amministratore provvisorio, il quale comunque non avrebbe potuto esercitare tali funzioni per un periodo superiore a sei mesi, decorso il quale scatterebbe, in ogni caso, la responsabilità illimitata dell’accomandante superstite.

La prosecuzione dell’attività sociale, decorsi i sei mesi dal venire meno della pluralità dei soci, non sembrerebbe, quindi, ledere l’interesse dei creditori sociali, che sarebbero garantiti contemporaneamente nei propri diritti dal patrimonio della società e del socio stesso, e, pertanto, la continuazione dell’attività d’impresa da parte dell’unico socio sarebbe una scelta ammissibile.

Scelta ammissibile, ma, comunque, temporanea, in quanto la società sarebbe sottoposta a due rischi latenti:

Nel caso venga attivato il procedimento di cancellazione d’ufficio, a seguito del contraddittorio preventivo con l’amministratore della società, il socio superstite si troverà di fronte all’alternativa se:

 

Trasformazione o successione?

Il tema dell’ammissibilità della trasformazione di una società “unipersonale”, sia di persone, sia di capitali, in un’impresa individuale è argomento dibattuto e, ad oggi, pregno di contraddizioni.

L’opzione per la trasformazione consentirebbe al socio superstite che intenda proseguire l’attività come imprenditore individuale di continuare a gestire la medesima impresa, beneficiando del principio della continuità dei rapporti giuridici esistenti, senza essere costretto a passare dalla fase della liquidazione, con conseguente neutralità della vicenda sotto il profilo contabile e fiscale.

Il dibattito, molto acceso in dottrina, è stato recentemente rianimato dalla sent. 14 gennaio 2015, n. 496 , della Sez. I civ. della Cassazione, che ha sancito che il passaggio da una società ad un’impresa individuale non possa essere considerato una trasformazione in senso tecnico.

Secondo la Suprema Corte, infatti, la trasformazione in senso tecnico sarebbe caratterizzata dal passaggio da un “ente” ad un altro “ente”, mentre la cosiddetta prosecuzione di una società unipersonale in ditta individuale altro non sarebbe che uno scioglimento con contestuale assegnazione del patrimonio sociale all’unico socio, con salto totale della fase di liquidazione dell’attivo.

La Cassazione si è espressa con diverse sentenze sul tema della trasformazione, dichiarando l’impossibilità che una società in nome collettivo possa trasformarsi in ditta individuale.

La fattispecie non trova una specifica regolamentazione nel nostro ordinamento, ma, secondo la dottrina più accreditata, risulterebbe “possibile” trasformare la società in impresa individuale, essendovi un implicito riconoscimento per interpretazione analogica della norma, contenuta nel D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che qualifica come trasformazione societaria il passaggio da società di capitali a comunione di azienda e viceversa.

Essendo tipicamente ammessa la trasformazione in e da comunione di azienda, pertanto con discontinuità soggettiva, non dovrebbe potersi impedire il passaggio da una società unipersonale ad un’azienda gestita da un imprenditore individuale.

La Cassazione a tale proposito argomenta l’inammissibilità della trasformazione da società unipersonale a impresa individuale sulla base della considerazione che la trasformazione, caratterizzandosi per il principio della continuità dei rapporti giuridici e contabili, integrerebbe una fattispecie di carattere eccezionale, quindi non suscettibile di interpretazione analogica.

Sul tema è intervenuta più volte anche l’Amministrazione finanziaria, che ha lasciato aperte diverse interpretazioni alla soluzione del problema.

Effetti giuridici della cancellazione della società

Se il tema della “trasformazione” risulta incerto, è ormai pacifico, invece, che la procedura di liquidazionedisciplinata dall’art. 2275 c.c. per le società di persone sia facoltativa e fungibile con altre forme di dismissione del patrimonio societario, anche non convenzionali.

La finalità della procedura liquidatoria, prevista dal nostro ordinamento, è dichiaratamente la tutela dei diritti dei creditori. Nel caso delle società di persone, ricordiamo, che la garanzia è assicurata ai creditori dalla perdurante responsabilità illimitata dei soci anche dopo l’eventuale chiusura o trasformazione della società e, quindi, la liquidazione diviene non più essenziale.

Pertanto, nella società di persone, i soci, o l’unico socio rimasto, pur potendo evitare la procedura formale prevista dal codice adottando il modo di liquidazione che ritengono più opportuno, ai sensi dell’art. 2280 c.c., hanno come obbligo di provvedere, comunque, a soddisfare i creditori socialiprima di procedere alla ripartizione del patrimonio sociale residuale.

Tale ripartizione può avvenire attraverso una divisione concordata o con l’assegnazione in comunione e, nel caso lo scioglimento abbia riguardato una società unipersonale, con l’assegnazione dell’intero patrimonio al socio superstite.

Nell’ipotesi in cui il socio superstite voglia continuare a gestire l’impresa nella forma della ditta individuale, la fase della liquidazione, secondo l’Amministrazione finanziaria, sarebbe sempre necessaria.

Secondo la risoluzione 3 aprile 2006, n. 47/E, nella fattispecie si instaurerebbe un rapporto di successione fra due soggetti distinti e ciò renderebbe indispensabile lo scioglimento preventivo della società e la conseguente liquidazione della stessa.

In ogni caso, la materiale divisione dei beni fra gli ex soci o l’assegnazione all’unico superstite dovrà, poi, essere formalizzata con un atto di assegnazione che produca l’effetto “giuridico” di trasferire i beni dalla società al socio, necessità che emerge, in particolare, quando il patrimonio sociale comprende anche beni immobili.

 

La presenza di immobili nel patrimonio societario

Lo scioglimento della società determina l’estinzione del soggetto giuridico e, pertanto, sotto il profilo soggettivo si verifica una sostituzione del soggetto titolare dei beni con altro soggetto, i soci.

Il problema non sembra di particolare rilievo nel caso di beni mobili e/o danaro o titoli, ma diventa di particolare interesse in presenza di beni immobili.

In passato la giurisprudenza, in presenza di beni immobili, aveva configurato la situazione di contitolarità dei soci che si viene ad instaurare all’esito della cancellazione come un fenomeno di tipo successorio.

L’instaurarsi del regime di contitolarità in quest’ottica porrebbe il socio nell’impossibilità di rinunciare all’assegnazione pro-quota, poiché il “diritto” discenderebbe dal fatto dell’essere stato socio al momento dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione.

Tutto ciò potrebbe avere notevoli riflessi anche sul piano della pubblicità immobiliare; trattandosi infatti di un effetto, per così dire, legale, susseguente all’estinzione della società, esso non sarebbe oggetto di trascrizione, essendo possibile riferirsi, per ciò che attiene alla titolarità, alle risultanze storiche del Registro delle imprese al momento della cancellazione della società.

Se nel patrimonio della società sono presenti beni immobili, le imposte ipotecaria e catastale sono applicabili in misura proporzionale, essendo possibile ravvisare una fattispecie di assegnazione di beni immobili aziendali.

La necessità di garantire la continuità sul piano della pubblicità immobiliare e di evitare possibili comportamenti elusivi sul piano fiscale, determinati dalla difficoltà della ricostruzione “giuridica”, attraverso il sistema informativo offerta dal Registro delle imprese, induce a preferire comunque l’annotazione sui registri immobiliari e l’aggiornamento catastale.

La soluzione appare opportuna e, finanche, necessaria nel caso di società unipersonale, considerato che, nonostante in tale ipotesi non esista margine di scelta sull’individuazione dell’assegnatario del bene, resta ferma l’esigenza di disporre di un atto di origine che sancisca il diritto in capo al socio.

 

Effetti fiscali della prosecuzione in forma individuale della società unipersonale

Sebbene non richiamando l’istituto giuridico della trasformazione, l’Amministrazione finanziaria ritiene possibile la continuazione dell’azienda da parte del socio superstite ed ha regolamentato la fattispecie disponendone la neutralità fiscale.

L’Agenzia delle entrate, infatti, è intervenuta con la circolare 19 giugno 2002, n. 54/E, p. 5, precisando che “si è dell’avviso che lo scioglimento della società di persone a causa della mancata ricostituzione della pluralità dei soci non dia luogo ad alcuna emersione di plusvalenza imponibile in relazione ai beni oggetto dell’attività d’impresa, a condizione che il socio superstite continui l’attività sotto forma di ditta individuale e mantenga inalterati i valori dei beni”.

L’Agenzia delle entrate, con la circolare 30 luglio 2008, n. 329/E , ha precisato che, nel caso che il socio decidesse di non continuare l’attività d’impresa e destinasse i beni a finalità extra-imprenditoriali, l’operazione sarebbe soggetta ad imposta nei modi ordinari.

L’assegnazione dell’azienda al socio superstite non è soggetta a IVA, ex art. 2, terzo comma, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972, e sconta l’imposta di registro in misura fissa, ai sensi della risoluzione n. 47/E del 2006 cit.

Per quanto concerne gli obblighi dichiarativi, la società, per il tramite dell’unico socio, dovrà presentare la propria dichiarazione dei redditi, modello Redditi Società di persone, relativa all’ultimo periodo d’imposta che va dall’inizio dell’esercizio sino allo scadere del termine civilistico dei 6 mesi per la ricostituzione della pluralità dei soci, oppure sino alla data in cui il socio superstite ha comunicato la propria decisione di sciogliere anticipatamente la società, senza attendere lo scadere dei sei mesi.

La dichiarazione dei redditi dovrà essere presentata nei termini ordinari di scadenza, in quanto la cessazione della società avviene senza che vi sia stata una formale liquidazione della stessa.

Il socio superstite dovrà dichiarare nel proprio modello Redditi Persone fisiche come ditta individuale il reddito d’impresa prodotto nella rimanente parte dell’esercizio, utilizzando, a seconda dei casi, il quadro RF, se in contabilità ordinaria, o il quadro RG, se in contabilità semplificata, nonché l’integrale reddito relativo all’estinta società di persone nel quadro RH.

Nel caso in cui dalla dichiarazione dei redditi della società emergesse un credito IRAP, inerente al periodo antetrasformazione, in virtù della neutralità fiscale dell’operazione, secondo la circolare 26 febbraio 2008, n. 13/E, l’imprenditore individuale lo potrà indicare nella propria successiva dichiarazione dei redditi, quale credito rinveniente dal periodo precedente.

Mentre gli obblighi dichiarativi ai fini reddituali trovano allocazione negli usuali modelli Redditi PF (persone fisiche) per la ditta individuale, e Redditi SP per la società liquidata, ai fini dell’IVA il modello sarà unificato e presentato dal socio assegnatario.

Per quanto riguarda gli obblighi dichiarativi, in tema di IVA sono previste specifiche modalità di compilazione e di presentazione della dichiarazione annuale.

Ai fini di tale imposta, infatti, si verifica un vero e proprio subentro da parte della ditta individuale nella posizione del soggetto che si estingue a seguito della stessa. Si delinea, in buona sostanza, una situazione di continuità che determina, in capo al soggetto risultante dall’operazione, l’obbligo di assolvere ogni adempimento IVAsuccessivo alla stessa.

Ne deriva che la dichiarazione IVA relativa all’anno d’imposta in cui ha luogo l’operazione dovrà essere presentata esclusivamente dalla ditta individuale costituita dal socio superstite e in essa dovranno essere riportate sia le operazioni dalla stessa effettuate, a partire dalla data della sua costituzione, sia quelle poste in essere dalla società di persone, fino alla data della sua estinzione.

La dichiarazione presentata dalla ditta individuale sarà costituita dal frontespizio, del modello IVA e da 2 moduli o intercalari:

 

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